A volte capita.
Con il mio mestiere, e come tutti i mestieri di questo mondo, dovendoci affidare ad altri, a volte capita che gli ingranaggi si inceppino. L’importante comunque è trovare il modo di andare avanti perché il fine poi è ciò che resterà. Almeno così mi hanno insegnato ed è una delle cose più belle che posso riportarvi. Anche se non va come vorreste siate pronti a rimediare per il vostro bene ed il bene degli altri.
E’ così è stato. Alla registrazione non felice de “Il carillon di Anjezë”, il mio lavoro per arpa e vibrafono, ho dovuto rimediare.
E lasciatemelo dire, sono felice nel dirlo. Ho posto rimedio con professionalità, poche problematiche e tanta determinazione. Sono queste penso di me le qualità che mi avvicinano ad essere più che mai un compositore. Ho risposto con risolutezza ad una problematica ed anche a costo di ribaltare tutto il pezzo, cosa che effettivamente ho fatto, ho “scritto” un pezzo ancora più bello, di cui sono felice e che approda dopo così tanti anni nuovamente, nell’acusmatica. E’ infatti tanto tempo che non affrontavo più un lavoro di questo tipo e spero presto di poterne scrivere altri.
In pochissimo tempo, il tempo rimasto prima che il disco fosse in editing, ho realizzato con coscienza un pezzo che trovo tra i migliori della mia produzione.
Sostanzialmente è un lavoro che fa largo uso di sintesi granulare suddiviso in 4 zone formali. Nella prima vi è l’eco di ciò che accadeva nel brano da cui è tratto, un suono di vibrafono nell’aria in tremolo con poco attacco e una sorta di richiamo all’arpa che scandisce una meticolosa devozione verso l’animo umano. Mano a mano la zona si addensa fino ad una completa rottura che permette alla seconda zona di presentarsi. In questa nuova zona si può ascoltare una sezione del brano registrato con l’arpa e il vibrafono in cui i gesti identificativi della prima sezione si ripresentano più forti e determinati. Nella terza mi dedico a suoni di rumore che vengono percepiti nella prime due e ne sviluppo il rapporto con lo spazio. In questa zona una parte rielaborata del “tema” del brano originale già esposto, riviene presentata, totalmente irriconoscibile e portata nella zona grave del registro. Questa introduce nella quarta zona dove l’interesse è per il timbro legnoso della raganella usata nel brano.
Ciò che identifica i gesti è (tra le varie caratteristiche) che il materiale sonoro è fissato a seconda della sua organizzazione nello spazio. Quindi troverete sempre quel materiale sonoro in quella zona dello spazio. A contrasto di ciò ci sono i temi prelevati dalla registrazione che vengono utilizzati in movimento e saranno gli unici a muoversi.
Dato che “Il carillon di Anjezë” riecheggiava di espressività e tecniche di un passato remoto mi piaceva l’idea di far pensare a questo pezzo come ad una sorta di frammento all’ascolto di Santa Teresa che recepiva nei propri ricordi questo “suo” carillon.
Il materiale utilizzato è chiaramente dato dalla frantumazione del materiale della registrazione che viene rotto in piccole particelle dalle quali si possono trarre altre immagini (i gesti sonori).
Proprio relativamente ad un esempio visivo è come se vedeste un quadro che fa uso del puntinismo. Piccole gocce di colore, che possono essere di tempera, giornale, graffite, legno, terra o altro materiale vanno a costituire un immagine diversa dalla materia da cui sono stati tratti.
Dal punto di vista suggestivo ho chiesto a mia moglie cosa ne pensasse. La sua risposta è stata molto importante per me:
“E’ come se fossimo nell’anticamera dei pensieri di Madre Teresa e ne vedessimo la formazione di questi. Poi improvvisamente un ricordo, l’ascolto di un brano perduto, evoca in lei emozioni che modificano i suoi pensieri elevandoli a qualcosa di ignoto e che richiama la nostra curiosità. All’ascolto questi pensieri li sento come fossero severi, pieni di una vita vissuta per gli altri”.
Non potevo essere più felice di una risposta così genuina.
Certo è che questo improvviso mutamento del brano a pochi giorni dalla pubblicazione del cd ha rimesso in gioco i titoli di questo lavoro. Mi piacerebbe infatti ora modificare il titolo del primo brano per arpa e vibrafono, visto che ancora non è stato consegnato all’editore, e trovare una stretta correlazione tra i titoli dei due lavori. Accetto suggerimenti!
Per diversi motivi questo lavoro per elettronica è “Il carillon di Anjezë”, titolo che assume ora significati più profondi del lavoro precedente, e che mi permette maggiore serenità con un indagine ancora più profonda.
Il “vecchio” lavoro (finito di scrivere quindici giorni fa) per arpa e vibrafono dovrà avere un nome diverso che però mostri affinità con questo per elettronica, visto che il materiale da cui trae origine è quello.
Se qualcuno si fosse chiesto perché quando ho scritto “scritto” più sopra, relativamente al mio operare, e questo fosse tra apici, ebbene è perché ho dovuto utilizzare MAX, un programma molto in voga oggi, sul quale ho dovuto collocare le informazioni necessarie per il pezzo. La vera partitura quindi non ancora scritta (ho tra le mani solo una pagina in partitura, riepilogativa delle scelte fatte) farà seguito più avanti perché penso diventerà un vero e proprio lavoro per arpa, vibrafono e live electronics che lo renderà ancora più interessante in un esecuzione dal vivo. In questa partitura verranno inserite le informazioni per poterla eseguire dal vivo grazie al supporto di musicisti (reali) che permetteranno di utilizzare le informazioni attraverso l’esecuzione, catturate dai microfoni dal vivo, e finalizzate ai programmi che ho scritto.
Vi lascio all’ascolto dell’anteprima del pezzo, nei limiti consentiti. Si tratta della terza zona di cui accennavo sopra.
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