L’ideologia di Dario Franceschini
Fonte: Articolo 9 La Repubblica
“Più tutela, una miglior tutela, una «tutela olistica»: hanno provato in tutti i modi a farcelo credere. Quanto si sono sgolati, negli ultimi mesi, i pochissimi portavoce di Dario Franceschini, primo tra tutti quel Giuliano Volpe che dopo essersi vanamente candidato al Senato per Sel, fa ora la sua figura tra i 250 firmatari per un «pacato» Sì al referendum costituzionale (insieme a Lorenzo Ornaghi, indimenticato esecutore testamentario del Ministero per i Beni culturali).
Tutta fatica sprecata: ora che la franchezza di un Franceschini in ginocchio di fronte ai nuovi vertici di Confindustria lacera tutti i veli della propaganda, consegnandoci la nuda verità.
Da questo discorso, a suo modo memorabile, apprendiamo che la riduzione delle soprintendenze da tre ad una non è stata pensata per tutelare di più, ma per semplificare la vita alla proprietà privata: «l’imprenditore che deve fare un intervento delle proprie proprietà aveva tre soprintendenze … ora non c’è più questo: le soprintendenze diventano uniche, ci sarà un’unica domanda e un’unica risposta, accompagnata dalle norme sul silenzio assenso». Tacere e assentire: ecco il ruolo della tutela di fronte alla proprietà. Bentornati allo Statuto Albertino: e addio all’articolo 9 della Costituzione repubblicana.
Coerente con quest’antifona, il resto del discorso è un inno alla mercificazione: quello dei Beni Culturali è il «ministero economico più grande del Paese», il patrimonio culturale è «una carta formidabile per la competitività italiana in tutti i campi», i monumenti che hanno ricevuto il famoso miliardo vengono definiti «grandi attrattori turistici-culturali del Paese», l’obiettivo della riforma è costringere i musei a vivere dei loro biglietti (prima «vendere cinquemila biglietti o ciquecentomila per i musei era indifferente: quello comunque riceveva») e per il futuro «vogliamo valorizzare lo strumento delle fondazioni in cui pubblico e privato stanno insieme, come nel museo Egizio di Torino». Perché visitare i musei prvoca «una crescita culturale, ma anche una crescita economica».
Infine, la ciliegina sulla torta: «per avere fiducia in noi basterebbe che ognuno di noi potesse vedere il nostro paese con gli occhi ammirati di quei viaggiatori che attraversano il nostro paese con gli occhi storditi dalla bellezza». Ci potrebbero essere dubbi sulla direzione di questa politica culturale ultraliberista, panneggiata nella stucchevole retorica della bellezza? L’obiettivo finale è trasformarci in turisti a casa nostra, l’esatto contrario di una formazione alla cittadinanza: perché «una visione turistica del mondo … non è esattamente una prospettiva che possa incoraggiare un’ardente devozione per la democrazia» (Ch. Lasch, La ribellione delle élite. Il tradimento della democrazia, Milano 1995, p. 13).
Nella lettera aperta che gli ho indirizzato sull’ultimo numero di MicroMega, ho cercato di spiegare come e perché Franceschini abbia ormai superato Sandro Bondi nella quantità e nella qualità dei danni inflitti al nostro povero patrimonio culturale: ma ora, con il discorso a Confindustria, Franceschini surclassa Bondi anche sul piano ideologico, consegnandoci la prima, coerente politica culturale di destra che sia stata formulata in questo Paese da molto tempo in qua. Viva la faccia.”
Infine riporto anche parte della lettera inviata che potrete leggere su MicroMega nella sua forma integrale:
“Signor Ministro, non è senza sgomento che mi trovo a a scriverLe che Lei sta raggiungendo un obiettivo che si sarebbe detto impossibile: sostituire Sandro Bondi al vertice della classifica dei più nefasti ministri per i Beni culturali della storia repubblicana (…)
Primo: Lei ha subìto senza battere ciglio lo Sblocca Italia, che ha creato un’autostrada normativa emergenzialistica per aggirare le regole vigenti, e semplificare la cementificazione del paese (…). Secondo: La legge Madia, che ha previsto la trasformazione delle prefetture in ‘uffici territoriali dello Stato’. (…). Tradotto in pratica, vuol dire che anche le soprintendenze confluiranno nelle prefetture, e che i soprintendenti saranno sottoposti ai prefetti, gerarchicamente superiori.(…) quel che c’è in gioco non è (solo) l’estetica delle città, delle coste o delle colline italiane: ma la tutela della stessa salute umana, così strettamente connessa alla salvaguardia del territorio. (…) Terzo. La legge sulle esportazioni delle opere d’arte presentata dal Suo partito nella primavera 2016: un clamoroso passo indietro, che ci fa rinunciare all’eccezione culturale al Trattato di Maastricht (1992) grazie alla quale non siamo stati finora obbligati a trattare le opere d’arte del passato come merci qualsiasi.(…) Se Berlusconi e Bondi avessero proposto anche uno solo di questi tre provvedimenti, saremmo tutti andati in piazza con i forconi: probabilmente anche Lei, che allora rivestiva la carica di vicedisastro (copyright di Matteo Renzi) del Partito democratico.
(…)
La prima è la fatale contrazione delle soprintendenze. Prima che il Suo governo si insediasse ne avevamo tre: quella che si occupava del paesaggio e dei monumenti, quella che si occupava dei musei e delle opere d’arte, quella che si occupava dell’archeologia. Con due mosse successive e non coordinate tra loro, provocando un caos indescrivibile e senza investire un euro nell’operazione, Lei le accorpate tutte: ottenendo una «tutela» tuttologica (alcuni astrologi di corte accampati nei corridoi del Collegio Romano preferiscono chiamarla «olistica») che abdica radicalmente al principio fondamentale della competenza tecnico-scientifica. (…) La seconda mossa distruttiva è stata la creazione di trenta supermusei autonomi del tutto sradicati dal territorio, e misurati solo con il volume dei biglietti (e non sulla capacità di produrre e redistribuire a tutti conoscenza). (…) per concentrare risorse sui musei, si è del tutto sguarnito il territorio: cui non toccheranno più dirigenti di prima fascia (il che equivale a una condanna a una perpetua minorità) e su cui rimangono poli museali slabbrati e disorganizzati (perché costruiti secondo l’unico criterio di farci confluire tutto ciò che non sembra eccellente: cioè redditizio), soprintendenze allo stremo, archivi e biblioteche che vanno avanti solo grazie all’elemosina del volontariato. (…) Tutto questo, mentre il finanziamento ordinario della macchina del ministero non è aumentato di un euro”.
“In questo quadro (…) si comprende quale sia il motore ideologico del complesso di leggi e «riforme» che, di fatto, sta rimuovendo l’articolo 9 dalla Costituzione: se la Costituzione pone alla Repubblica un traguardo altissimo (il pieno sviluppo della persona umana: art. 3), ora, invece, per chi guida la Repubblica le persone e la loro formazione sono funzionali al mercato, signore unico delle nostre vite”.